La nutrizione nel paziente oncologico

L’oncologia è un ramo della medicina molto complesso e nel contempo delicato nel quale vengono costantemente condotte moltissime ricerche con lo scopo di identificare le cause e le possibili terapie selettive per le diverse tipologie di tumori.

oncology-graphic2-e1353422216979Sebbene con i progressi scientifici siano stati messi a punto dei farmaci biologici in grado di prolungare la sopravvivenza e di ridurre notevolmente la mortalità, un aspetto che continua ad essere di sovente sottovalutato è quello relativo all’alimentazione. Quest’ultima possiede la potenzialità di ridurre l’insorgenza del ben 30% dei nuovi casi di tumore ma oltre all’aspetto relativo alla prevenzione, un’accurata e ben strutturata alimentazione ha anche una triplice valenza in quanto:

– permetterebbe di massimizzare l’efficacia terapeutica (sia che si tratti di chemioterapia, radioterapia o terapia biologica);

– consentirebbe di ridurre le complicanze insorte come conseguenza delle diverse terapie;

preverrebbe la malnutrizione.

Qualsiasi farmaco, affinché possa svolgere la sua azione terapeutica, necessita di essere adeguatamente metabolizzato nel fegato ad opera di complessi enzimatici denominati CYP. La funzionalità di questi ultimi può essere estremamente influenzata da molti alimenti assunti giornalmente e il rischio che inconsapevolmente si può correre è che assumendo determinati prodotti alimentari o integratori si riduca al minimo l’efficacia di un farmaco oppure che ne venga massimizzata la comparsa degli effetti collaterali. Nei pazienti oncologici sarebbe dunque doveroso attenzionare l’aspetto nutrizionale in base alle terapie farmacologiche seguite con lo scopo sia di ridurre al minimo gli effetti tossici (o collaterali), sia di sfruttare l’azione terapeutica dei farmaci con il giusto dosaggio. Un esempio banale può essere rappresentato dal succo di pompelmo (e in misura minore anche dall’aglio, dal pepe nero e da altri alimenti): la loro assunzione andrebbe del tutto evitata nei pazienti oncologici in trattamento con Docetaxel, Erlotinib, Gefitinib, Irinotecano (e moltissimi altri farmaci) in quanto aumenterebbero in maniera esponenziale gli effetti tossici di tali farmaci, così come il ginseng andrebbe sconsigliato nelle donne in trattamento con Tamoxifene.

Un’importante problematica alla quale devono far fronte i pazienti oncologici in corso di terapia è la gestione delle complicanze innescate dalle terapie farmacologiche stesse. Gli apparati maggiormente colpiti sono quello gastrointestinale (con comparsa di mucositi, coliti, diarree, stipsi, nausea, ecc.), il sistema ematopoietico (con comparsa sovente di anemia, riduzione dei globuli bianchi e delle piastrine) e la cute (con i suoi relativi annessi cutanei). Un’adeguata nutrizione costituisce una preziosa arma grazie alla quale poter ridurre l’entità di tali complicanze: ad esempio nel caso in cui si sviluppino delle mucositi sarebbe importante eliminare i prodotti integrali cotti al forno (come pane e biscotti) in quanto le fibre risulterebbero secche ed irritanti. Si hanno molteplici strategie alimentari per la gestione di ciascuna complicanza e l’essere guidati da un nutrizionista esperto in nutrizione oncologica potrebbe portare dei benefici non indifferenti per il proprio stato di salute, riducendo gli effetti collaterali delle terapie pur promuovendone la migliore efficacia possibile.

Nei pazienti oncologici inoltre l’alimentazione dovrebbe mirare a prevenire la malnutrizione, complicanza frequente che potrebbe poi portare alla cachessia. Per limitare tale eventualità bisognerebbe impostare un piano alimentare normocalorico, ponendo particolare attenzione al consumo di fonti alimentari contenenti grassi polinsaturi, oligoelementi e cereali poco raffinati. Aumentare “a caso” l’introito calorico della dieta, incrementando erroneamente il consumo di cibi zuccherini, carne ed alimenti ricchi di grassi saturi potrebbe solamente peggiorare il quadro clinico in quanto aumenterebbe gli episodi putrefattivi a livello intestinale e promuoverebbe la proliferazione delle cellule tumorali.

Dunque è fondamentale non trascurare le potenzialità che può avere un’accurata alimentazione sullo stato di salute del paziente oncologico. Non a caso, infatti, per alcune neoplasie quali il glioblastoma multiforme (una tipologia di tumore cerebrale) la dieta rappresenta una tra le poche strategie efficaci nell’impedire la progressione tumorale.

Bibliografia:

  • Prevenire i tumori mangiando con gusto – Viilarini A e Allegro G. – Sperling & Kupfer 2009
  • The role of metabolic therapy in treating gioblastoma multiforme – Maroon JC et al – Surg Neurol Int. 2015
  • Integrative oncology – E. Weil – 2010

I benefici della vitamina D per la salute umana

La vitamina D, nota anche come “vitamine del sole”, è l’unica ad essere sintetizzata dall’organismo umano grazie all’azione della luce solare: l’esposizione ai raggi ultravioletti è infatti in grado di innescare, a livello WomanInSundell’epidermide, la conversione del precursore della Vitamina D (7-deidrocolesterolo) in un intermedio che, grazie a delle reazioni enzimatiche che avvengono in corrispondenza del fegato e dei reni, viene trasformato nella forma attiva e funzionale della vitamina D, che prende il nome di vitamina D3 o colecalciferolo. La vitamina D3, aldilà dell’esser stimolata dai raggi solari, si può rinvenire in molteplici alimenti di originevitd animale quali l’olio di fegato di merluzzo, i pesci grassi (tra cui il salmone, il tonno, lo sgombro, le sardine e l’aringa), la carne di maiale e di vitello, il fegato, le uova, il latte intero ed i formaggi a pasta dura. La forma dell’ergocalciferolo o vitamina D2 è invece riscontrabile in alcuni prodotti di origine vegetale quali i funghi.

Alcune condizioni possono tuttavia determinare una carenza di tale vitamina, quali la scarsa esposizione alla luce solare, l’insufficiente apporto di alimenti contenenti adeguati livelli di vitamina D, l’età avanzata, le diete a ridotto apporto di grassi, l’insufficienza renale cronica ed il malassorbimento lipidico.

La vitamina D svolge un ruolo fondamentale per il metabolismo del calcio corporeo: essa stimola a livello intestinale l’assorbimento del calcio e del fosforo presente negli alimenti promuovendo la mineralizzazione della matrice ossea. É infatti ampiamente noto che la carenza di vitamina D nei bambini, seppur rara, si associa con la comparsa di rachitismo, ovvero una condizione patologica le cui manifestazioni cliniche sono rappresentate da un inarcamento delle gambe e della colonna vertebrale. Negli adulti tale carenza determina una condizione analoga, l’osteomalacia, ove la ridotta mineralizzazione ossea è causa di deformità scheletriche e dolori ossei. La carenza di vitamina D inoltre costituisce un importante fattore di rischio per l’osteoporosi, patologia che predispone ad un elevato rischio di fratture.

Sulla base delle evidenze ottenute da diversi studi scientifici, la vitamina D sembrerebbe rivestire un ruolo cruciale nella prevenzione di alcune forme tumorali: il riscontro di livelli leggermente elevati di vitamina D nel sangue non solo ridurrebbe l’incidenza del carcinoma del colonretto e del cancro alla mammella ma prolungherebbe altresì la sopravvivenza dei soggetti ammalati.

La vitamina D assume inoltre una particolare rilevanza nel contesto delle malattie cardiovascolari: ridotti livelli circolanti di tale vitamina sono stati ampiamente correlati con l’ipertensione arteriosa, con la sindrome metabolica e con l’aumentato rischio di infarto del miocardio, scompenso cardiaco, malattie coronariche ed ictus cerebrale. Per ridurre il rischio cardiovascolare sarebbe dunque importante garantire all’organismo umano sempre un adeguato apporto di vitamina D.

Da numerosi trials clinici è stato constatato che ridotti livelli di vitamina D nel sangue risulterebbero anche aumentare il rischio di insorgenza del diabete negli adulti; tuttavia sono necessari ancora ulteriori studi al fine di dimostrare l’effetto benefico di tale vitamina nel trattamento dei pazienti diabetici.

I benefici della vitamina D sulla salute umana si sono dimostrati essere molteplici. L’importanza di un adeguato livello di tale vitamina è stata anche documentato relativamente alla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), malattia infiammatoria cronica del sistema nevoso centrale. Tra i diversi fattori di rischio predisponenti tale patologia figurerebbero anche i bassi valori di vitamina D nel circolo sanguigno e da studi scientifici si è appurato che la supplementazione con tale vitamina è in grado sia di ridurre l’incidenza della SLA del 41-70% , sia di ridurre altresì il numero di ricadute dei pazienti affetti da tale patologia.

La vitamina D inoltre ricopre un ruolo cruciale anche nel corso della gravidanza ed i benefici da essa apportati sono notevoli sia per la salute della gestante che per quella del nascituro. Adeguati livelli di tale vitamina infatti riducono il rischio di diabete gestazionale, pre-eclampsia e parto pretermine.

Sulla base di tali dati è pertanto possibile affermare che la vitamina D riveste un ruolo determinante per il benessere dell’organismo umano ed i benefici che è possibile trarre da una dieta contenente diverse fonti alimentari ricchi di tale vitamina sono molteplici: essa infatti riduce il rischio di insorgenza di numerose patologie, tra cui l’osteoporosi, le malattie cardiovascolari ed il diabete, e contribuisce al mantenimento di un buon stato di salute.